Gli inibitori della colinesterasi associati a un aumento dei tassi di sincope, bradicardia, inserzione di pacemaker e fratture dell’anca negli adulti più anziani con demenza


Gli inibitori della colinesterasi sono comunemente prescritti per trattare la demenza, ma il profilo dei loro effetti avversi è stato poco studiato.

Questi farmaci possono provocare bradicardia sintomatica e sincope, che potrebbe portare a impianto permanente di pacemaker.
La sincope indotta dai farmaci potrebbe anche aumentare i danni legati a cadute, tra cui la frattura dell’anca.

In uno studio di coorte basato sulla popolazione, un gruppo di Ricercatori canadesi ha valutato la relazione tra uso degli inibitori della colinesterasi e gli esiti collegati a sincope utilizzando database sanitari dell’Ontario ( Canada ) nel periodo 2002-2004.

Sono stati identificati 19.803 individui con demenza ai quali erano stati prescritti inibitori della colinesterasi e 61.499 controlli ai quali non erano stati prescritti questi farmaci.

Le visite in ospedale per sincope sono risultate più frequenti nelle persone trattate con inibitori della colinesterasi rispetto ai controlli ( 31.5 vs 18.6 eventi per 1000 persone-anno; hazard ratio [ HR ] aggiustato 1.76 ).

Anche altri eventi correlati alla sincope sono risultati più comuni tra le persone trattate con inibitori della colinesterasi rispetto ai controlli: le visite in ospedale per bradicardia ( 6.9 vs 4.4 eventi per 1000 persone-anno; HR=1.69 ), impianto permanente di pacemaker ( 4.7 vs 3.3 eventi per 1000 persone-anno; HR=1.49 ) e frattura dell’anca ( 22.4 vs 19.8 eventi per 1000 persone-anno; HR=1.18 ).

In conclusione, l’uso di inibitori della colinesterasi è associato a un aumento dei tassi di sincope, bradicardia, inserzione di pacemaker e fratture dell’anca negli adulti più anziani con demenza.
Il rischio di questi gravi eventi avversi, non riconosciuti in precedenza, deve essere preso in considerazione di fronte ai benefici in genere modesti di questi farmaci. ( Xagena_2009 )

Gill SS et al, Arch Intern Med 2009;169: 867-873



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