Stent bioassorbibili nei pazienti con diabete mellito


Il paziente con diabete mellito, rispetto a soggetti non-dismetabolici, presenta una maggiore estensione della patologia coronarica, vasi solitamente di calibro ridotto e una maggiore incidenza di patologia multivasale.
Inoltre, i pazienti diabetici presentano iperreattività piastrinica e un maggior grado di infiammazione e di disfunzione endoteliale, nonché una esaltata reazione di guarigione al danno della parete vasale.
Tutto ciò, soprattutto nei pazienti insulino-dipendenti, si traduce in un aumentato rischio di eventi cardiaci avversi dopo angioplastica coronarica, in particolare trombosi intra-stent, restenosi e necessità di reintervento.

L’avvento degli stent a rilascio di farmaco ( DES ) ha abbattuto di molto il rischio di restenosi intra-stent portando a una significativa e duratura riduzione della necessità di ripetere procedure di rivascolarizzazione in confronto con gli stent metallici nudi ( BMS ).
Tuttavia, la persistenza di una struttura metallica, con o senza polimeri, causa nel tempo una reazione infiammatoria cronica tipo da corpo estraneo, possibilmente correlata alla neo-aterosclerosi tardiva che è responsabile di alcuni degli eventi clinici maggiori a lungo termine che riducono l’efficacia degli stent medicati tradizionali soprattutto nei soggetti diabetici.

L’utilizzo di scaffold coronarici riassorbibili, e quindi la liberazione del vaso dall’incarceramento metallico, potrebbe ragionevolmente rappresentare la soluzione del problema con un vantaggio a lungo termine rispetto agli standard terapeutici attuali.

Infine il trattamento della malattia coronarica diffusa tipica, come detto, dei soggetti diabetici, e caratterizzata da una grave ed estesa infiltrazione ateromasica della parete vascolare, impone spesso l’impianto di stent multipli e in overlapping che, sebbene di ultima generazione, non solo aumentano il rischio di trombosi, restenosi e frattura, ma compromettono anche una eventuale rivascolarizzazione chirurgica in caso di fallimento.

I dati sui pazienti diabetici trattati con stent bioriassorbibili sono ancora relativamente esigui e prospetticamente a breve-medio termine.

Da una analisi comparativa su 551 pazienti degli studi ABSORB Cohort B e ABSORB EXTEND, non è stata riscontrata nessuna differenza statisticamente significativa tra i pazienti diabetici e non-diabetici trattati con stent bioriassorbibili in termini di trombosi intra-scaffold accertata o probabile ( 0.7% in entrambi i gruppi ) e di endpoint composito ( morte cardiaca, infarto a carico del vaso target e rivascolarizzazione della lesione target ad 1 anno; 3.7% vs 5.1%, p=0.64 ).
Parimenti, dopo propensity score matching tra 136 pazienti diabetici della coorte ABSORB e 882 pazienti diabetici trattati con stent a rilascio di Everolimus ( EES ) negli studi SPIRIT, i pazienti diabetici trattati con stent bioriassorbibili avevano un tasso inferiore, anche se non statisticamente significativo, di fallimento della lesione target ( target lesion failure, TLF ) e trombosi dello stent rispetto ai pazienti diabetici con caratteristiche simili trattati con stent a rilascio di Everolimus ( TLF 3.9 vs 6.4%, p=0.38; trombosi di stent 1 vs 1.7%, p=1.0 ).
Questi dati sono relativi a un numero ristretto e altamente selezionato di pazienti, nei quali la gravità della malattia coronarica era presumibilmente modesta e con follow-up limitato nel tempo.

Wiebe et al. hanno riportato l’esperienza di un singolo Centro sull’utilizzo degli stent bioriassorbibili in una popolazione di 120 diabetici all-comers, inclusi casi di STEMI e molte lesioni complesse ( B2/C 60.6% ). I tassi di fallimento del vaso target, rivascolarizzazione della lesione target e trombosi di stent a 6 mesi sono stati rispettivamente dell’8.9%, 2.7% e 2.7%, comparabili agli studi all-comers in pazienti trattati con stent medicato e stent bioriassorbibile.

La trombosi dello scaffold si è verificata esclusivamente in pazienti con lesioni complesse tipo B2/C e 2 di 3 pazienti avevano interrotto la duplice terapia antiaggregante ( dual antiplatelet therapy, DAPT ) immediatamente dopo la procedura.

La DAPT sembra pertanto essenziale nella prevenzione della trombosi intra-scaffold, in considerazione della ipereattività piastrinica tipica del diabetico e dello spessore aumentato delle maglie dello stent bioriassorbibile che causa maggiore turbolenza di flusso e, nei vasi di piccolo calibro, un ingombro non-trascurabile.

Nella metanalisi di Stone et al., che ha incluso 3389 pazienti arruolati in 4 studi clinici ( ABSORB II, ABSORB Japan, ABSORB China, ABSORB III ) e randomizzati a impianto di stent bioriassorbibile o stent a rilascio di Everolimus in cromo-cobalto, la presenza di diabete mellito si è confermata essere tra i principali predittori indipendenti di fallimento della lesione target al follow-up ( rischio relativo 1.56, p=0.002 ) e sebbene il tasso di mortalità, infarto miocardico o rivascolarizzazione a 1 anno sia stato simile nei due gruppi di trattamento ( BVS 11.9% vs EES in cromo-cobalto 10.6% ), all’analisi dei sottogruppi è emerso che lo stent metallico tende a essere superiore nel paziente non diabetico, ma non nel diabetico. Ulteriori dati sono attesi da studi dedicati come SUGAR-EVE ( EverolimuS-ElUtinG BioresorbAble VasculaR Scaffolds vErsus EVerolimus-Eluting Stents in Patients With Diabetes Mellitus ) o dal sottostudio del COMPARE ABSORB ( Bioresorbable Scaffold vs Xience Metallic Stent for Prevention of Restenosis in Patients at High Risk of Restenosis ). ( Xagena_2016 )

Fonte: GISE, 2016

Xagena_Medicina_2016