Mielofibrosi: Fedratinib è efficace nel controllo della splenomegalia e dei sintomi debilitanti correlati alla malattia


I sintomi principali della mielofibrosi, rara malattia cronica del midollo osseo, difficile da diagnosticare e da trattare, con un’incidenza di 700 nuovi casi in Italia ogni anno, sono: febbre, profonda stanchezza e debolezza, sudorazione notturna abbondante, forte prurito, dolori alle ossa e dimagrimento.

Finora, le terapie a disposizione erano limitate, senza reali passi avanti nell’ultimo decennio.
Fedratinib ( Inrebic ) è una nuova terapia mirata attiva sia nei pazienti di nuova diagnosi che in quelli già trattati con la terapia standard, quando questa non è più in grado di gestire la malattia. Fedratinib ha dimostrato di controllare in maniera efficace la splenomegalia, cioè l’ingrossamento della milza, manifestazione clinica caratteristica della mielofibrosi, e i sintomi debilitanti correlati alla malattia, migliorando così la qualità di vita di questi pazienti.

La mielofibrosi appartiene al gruppo delle malattie mieloproliferative croniche, che comprendono anche la policitemia vera e la trombocitemia essenziale.
Nella maggior parte dei casi colpisce persone fra i 60 e i 70 anni.

Il termine mieloproliferative indica che si tratta di un’alterazione in alcune cellule staminali presenti nel midollo osseo, che induce una proliferazione eccessiva di altre cellule ematiche.
Caratteristica è la graduale comparsa di tessuto fibroso, che modifica definitivamente la struttura del midollo osseo, non consentendone più il corretto funzionamento emopoietico, ossia la normale produzione delle cellule ematiche che si sposta dal midollo osseo alla milza, causando l’ingrossamento dell'organo.

La splenomegalia si verifica in quasi tutti i pazienti ed è responsabile di una serie di disturbi, soprattutto gastrointestinali. La milza ingrossata comprime gli organi vicini, in particolare stomaco e intestino. Il paziente avverte difficoltà nella digestione, sensazioni di pesantezza allo stomaco, fastidio a livello dell’addome e sazietà anche dopo aver mangiato poco, dolori addominali e funzioni intestinali irregolari, con episodi di diarrea e stitichezza.
In alcuni casi, la milza è così ingrossata da occupare gran parte dell’addome fino a comprimere i polmoni, causando tosse secca e dolore alla spalla sinistra, e i reni, con difficoltà a urinare.

Il trapianto di cellule staminali rappresenta ad oggi l’unico approccio curativo, caratterizzato però da limiti importanti: innanzitutto è usualmente effettuato a persone di età inferiore a 70 anni, inoltre necessita di un donatore compatibile, preferibilmente scelto in ambito familiare perché abbia caratteristiche simili al ricevente.
I pazienti che possono essere indirizzati al trapianto non devono presentare gravi comorbidità e solo il 5-10% è candidabile a questa procedura impegnativa, caratterizzata da una mortalità a 5 anni compresa fra il 10 e il 60%.
La causa della mielofibrosi non è chiara, ma più della metà dei pazienti presenta una mutazione del gene responsabile della sintesi di una particolare proteina, detta JAK2, implicata nel processo emopoietico.

Negli ultimi anni è profondamente cambiata la gestione della malattia, grazie a terapie mirate che hanno come bersaglio proprio le proteine della famiglia JAK2.
Dopo un periodo compreso fra 3 e 5 anni, è noto però che circa la metà dei pazienti trattati con l’attuale terapia standard, Ruxolitinib, un inibitore di JAK, perde la risposta al farmaco. Da qui l’importanza dell’approvazione di nuovi farmaci come Fedratinib.

Fedratinib, un inibitore selettivo della kinasi JAK2, è una terapia mirata orale, che ha mostrato riduzioni clinicamente significative del volume della milza e dei sintomi, nei pazienti in cui la malattia è progredita durante il trattamento con Ruxolitinib o non-trattati in precedenza con inibitori JAK.

Esistono due forme di mielofibrosi: primaria, cioè non dovuta ad altre malattie ematologiche preesistenti, e secondaria, che costituisce l’evoluzione di un’altra malattia mieloproliferativa cronica, come la policitemia vera o la trombocitemia essenziale.

Fedratinib è stato approvato per il trattamento della splenomegalia legata alla malattia o dei sintomi nei pazienti adulti con mielofibrosi primaria, mielofibrosi post-policitemia vera o mielofibrosi post-trombocitemia essenziale, che sono naïve agli inibitori JAK o sono stati trattati con Ruxolitinib.

L’efficacia della molecola è stata evidenziata dagli studi JAKARTA e JAKARTA-2. Obiettivo primario di entrambe le sperimentazioni era il tasso di risposta splenica, definita come una riduzione superiore o uguale al 35% del volume della milza, misurato per via strumentale, rispetto al volume misurato al basale, ossia prima di iniziare la terapia.
Lo studio JAKARTA ha incluso pazienti non-trattati in precedenza con Ruxolitinib e il 47% ha ottenuto la risposta splenica alla fine del sesto ciclo di terapia.
Il tasso di risposta ai sintomi, definito come la percentuale di pazienti con una riduzione di almeno il 50% del punteggio totale dei sintomi rispetto al valore basale, è stato raggiunto dal 40% dei pazienti alla fine del sesto ciclo.
Lo studio JAKARTA 2 ha arruolato pazienti già trattati con Ruxolitinib, che non traevano più beneficio da questa terapia, e ha dimostrato una risposta splenica in oltre il 30% dei casi e una riduzione dei sintomi nel 27% dei pazienti.( Xagena_2022 )

Fonte: AIFA, 2022

Xagena_Medicina_2022