Ictus e recupero del deficit neurologico: trattamenti di rivascolarizzazione sulla base di finestre terapeutiche individuali


L’ictus è la prima causa di invalidità, la seconda di demenza e la seconda di mortalità nei Paesi occidentali. Già dalla fine degli anni ‘70 era noto, da studi effettuati su animali, che a seguito della chiusura di una arteria cerebrale si poteva evidenziare un’area di tessuto cerebrale con un flusso sanguigno residuo incompatibile con la sopravvivenza ( core ischemico ) e un’area più ampia di tessuto con flusso sanguigno residuo che consentiva la sopravvivenza ma non la normale funzionalità ( penombra ischemica ). Quest’area di penombra non sopravviveva a tempo indeterminato, ma in media 4-6 ore che rappresentavano la finestra terapeutica per cercare di impedire al tessuto cerebrale di andare incontro alla definitiva necrosi.

Si è dovuto attendere la fine degli anni 90 e i primi anni 2.000 per dimostrare l’efficacia della trombolisi intravenosa, ovvero della somministrazione di un farmaco chiamato rt-PA, nel risparmiare il tessuto cerebrale in penombra e favorire un recupero più o meno completo del deficit neurologico.

Nel 2015 sono stati pubblicati i risultati di cinque studi clinici che hanno dimostrato che l’asportazione meccanica per via endovascolare del trombo occludente un’arteria cerebrale, specie se effettuata dopo la somministrazione di rt-PA, era molto efficace per il recupero della normalità in pazienti con occlusione di grandi arterie intracraniche. La finestra terapeutica ottimale per il trattamento era in media di 5-6 ore.

Tuttavia, già da diversi anni era evidente che la durata media della finestra terapeutica era un’astrazione statistica e che c’era la possibilità di individuare pazienti con finestre terapeutiche più lunghe, anche di diverse ore. Si è quindi passati dal concetto di finestra temporale a quello di finestra tessutale, ovvero di una finestra di opportunità terapeutica individuale essenzialmente legata all’efficienza dei circoli collaterali che apportano sangue al cervello in penombra.

Due studi clinici pubblicati su The New England Journal of Medicine ( NEJM ) hanno dimostrato la possibilità di sfruttare al meglio la finestra terapeutica individuale.

Nello studio DAWN ( DWI or CTP Assessment with Clinical Mismatch in the Triage of Wake-Up and Late Presenting Strokes Undergoing Neurointervention with Trevo ) pazienti con occlusione della carotide interna intracranica o del tratto prossimale dell’arteria cerebrale media sono stati randomizzati a trombectomia meccanica o trattamento standard, entro 6-24 ore dall’ultima volta in cui erano stati visti in condizione di normalità.
I pazienti erano stati randomizzati in base alle seguenti variabili: gruppo A: età superiore o uguale a 80 anni con punteggio NIHSS maggiore o uguale a 10 e volume infartuale minore di 21 ml; gruppo B: età inferiore a 80 anni con punteggio NIHSS maggiore o uguale a 10 e volume infartuale minore di 31 ml; gruppo C: età inferiore a 80 anni con punteggio NIHSS maggiore o uguale a 20 e volume infartuale fra 31 e 51 ml.

La NIHSS è una scala per la quale il punteggio 0 corrisponde a un esame neurologico normale e più alto è il punteggio più grave è il quadro clinico.
Il volume infartuale è stato valutato con risonanza magnetica con sequenze in diffusione ( RM DW ) o con TC di perfusione ed è stato calcolato con un software automatico.

Lo studio Endovascular Therapy Following Imaging Evaluation for Ischemic Stroke ( DEFUSE 3 ) ha randomizzato a trombectomia meccanica o terapia standard, pazienti con ictus ischemico acuto con esordio fra 6 e 16 ore dall’ultima volta in cui erano stati visti in condizione di normalità.
I principali criteri di inclusione erano una occlusione dell’arteria cerebrale media prossimale o dell’arteria carotidea interna, un volume iniziale dell’infarto inferiore a 70 ml e un rapporto volumetrico fra core ischemico e penombra uguale o superiore a 1.8.

Core ischemico e penombra sono stati valutati con TC di perfusione o con risonanza magnetica con sequenze in diffusione e perfusione e calcolati con un software automatico.

Entrambi gli studi hanno dimostrato l’efficacia del trattamento endovascolare fino a 16-24 ore dal teorico esordio dell’ictus nel consentire un recupero funzionale a tre mesi dal trattamento, a fronte di un rischio di complicanze emorragiche e di mortalità comparabile a quello del trattamento standard.

Si apre pertanto un fronte nuovo nel mondo della cura dell’ictus ischemico, nel quale l’opportunità di intervenire con trattamenti di rivascolarizzazione potrà essere valutata con finestre terapeutiche individuali, secondo il principio della medicina di precisione.

La selezione dei possibili candidati al trattamento richiede, comunque, il ricorso a tecniche di neuroimmagini avanzate come la TC di perfusione o la risonanza magnetica con sequenze in diffusione e perfusione e il calcolo dei volumi lesionali e delle aree di ipoperfusione attraverso software automatizzati. ( Xagena_2018 )

Fonte: Danilo Toni, Policlinico Umberto I di Roma - SIN, 2018

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