Ranibizumab: sicurezza e farmacovigilanza


Ranibizumab ( Lucentis ) è un frammento di un anticorpo monoclonale umanizzato che presenta un’elevata affinità di legame per tutte le isoforme del VEGF-A.
Il suo basso peso molecolare, di 48 KDa, ne consente un’alta penetrazione retinica e allo stesso tempo, una breve emivita sistemica, circa 2 ore e una emivita vitreale stimata intorno ai 9 giorni.

È stata dimostrata l’efficacia e la sicurezza di Ranibizumab in tre studi registrativi di fase III: MARINA, ANCHOR e PIER.

Lo studio SAILOR, di fase IIIb, è altresi importante per l’analisi della sicurezza: sono stati arruolati un totale di 4300 pazienti con l’obiettivo di stimare l’incidenza di eventi avversi gravi oculari e non-oculari a 12 mesi.

Ranibizumab è costantemente valutato sia per la sicurezza oculare sia la sicurezza sistemica.

I pazienti affetti da degenerazione maculare associata all'età, hanno un rischio di malattie cardiovascolari maggiore rispetto ai soggetti di pari età, non-affetti da questa patologia retinica.
Ne consegue la grande attenzione sui possibili effetti collaterali dei farmaci anti-VEGF per uso intravitreale, soprattutto a carico dell’apparato cardiovascolare.

Per la sicurezza oculare gli eventi avversi seri più frequenti, rilevati negli studi clinici, sono risultati correlati alla procedura d’iniezione e verificatisi in meno dello 0.1% delle iniezioni intravitreali; essi comprendevano endoftalmiti, distacco retinico regmatogeno, rottura retinica e cataratta traumatica iatrogena.

Altri eventi oculari gravi osservati tra i pazienti trattati con Ranibizumab e verificatisi in meno dell'1% dei pazienti comprendevano infiammazione intraoculare e aumento della pressione intraoculare.

Nello studio SAILOR non è emersa differenza negli eventi avversi oculari gravi tra i gruppi di trattamento.

Al fine della valutazione della sicurezza sistemica si farà riferimento al termine eventi tromboembolici arteriosi secondo i criteri definiti dall’Antiplatelet Trialists Collaboration Study che con questo termine comprende: infarto miocardio non-fatale, ictus ischemico non-fatale, ictus emorragico non-fatale, morte dovuta a cause vascolari o ignote.

Nello studio MARINA a due anni eventi tromboembolici arteriosi si sono verificati nel 4.6 dei pazienti trattati con Ranibizumab ( 0.3 e 0.5 mg ), nel 3.8 % di quelli trattati con iniezioni sham ( simulata ).
L'infarto del miocardio ( fatale o non-fatale ) si è avuto nel 3.4% e 1.3% dei pazienti trattati con Ranibizumab ( rispettivamente 0.3 e 0.5 mg ) e nell’1.7 % di quelli trattati con iniezioni sham.

Nello studio ANCHOR a due anni eventi tromboembolici arteriosi si sono verificati nel 4.4% e 5.0% dei pazienti trattati con Ranibizumab ( rispettivamente 0.3 e 0.5 mg ) e nel 4.2% dei pazienti trattati con terapia fotodinamica ( PDT ).
Infarto del miocardio ( fatale o non-fatale ) si è avuto nel 0.7% e nel 3.6% dei pazienti trattati con Ranibizumab ( rispettivamente 0.3 e 0.5 mg ) e nel 1.4 % di quelli trattati con iniezioni sham.

Nello studio PIER a un anno non si sono registrati eventi tromboembolici in nessun gruppo di trattamento.

I dati dello studio SAILOR hanno indicato una incidenza di eventi tromboembolici simile sia nei pazienti trattati con Ranibizumab 0.5 mg che con 0.3 mg ( rispettivamente 2.8% e 2.6% ). La percentuale dei pazienti che sviluppato un infarto è identica nei due gruppi di trattamento ( 1.2% ).
Sembra esserci un’incidenza numericamente superiore, seppure non statisticamente significativa, di ictus nei pazienti trattati con 0.5 mg rispetto a quelli trattati con 0.3 mg ( rispettivamente 1.2% vs 0:7% ). Questa differenza numerica diventa ancora più evidente se si considerano i precedenti anamnestici di ictus o aritmie.
Nei pazienti con anamnesi positiva per tali patologie l’incidenza è stata pari a 9.6% versus 2.7% ( rispettivamente 0.5 mg vs 0.3 mg ) nel caso di ictus e 3.5% vs 0.5% ( rispettivamente 0.5 mg vs 0.3 mg ) nel caso di aritmie.

Una analisi combinata dei dati del MARINA, dell’ANCHOR, del PIER e del SAILOR ( coorte 1 ), in cui sono stati arruolati 3252 pazienti che hanno ricevuto più di 28.500 iniezioni, ha mostrato una incidenza di eventi tromboembolici arteriosi nel 2.5% circa dei pazienti trattati con Ranibizumab.

L’incidenza degli eventi tromboembolici dei pazienti trattati con anti-VEGF deve essere correlata all’età avanzata di questi pazienti e al tipo di patologia retinica di cui sono affetti, questo perché entrambe le condizioni determinano un aumento del rischio di malattie cardiovascolari indipendentemente dall’uso di farmaci antiVEGF.
In quest’ottica, l’incidenza media di eventi tromboembolici arteriosi del 2.5% che deriva da tutti gli studi su Ranibizumab è paragonabile a quella riportata in generale per la popolazione affetta da degenerazione maculare associata all'età.
In una analisi retrospettiva di 7203 pazienti affetti da degenerazione maculare correlata all'età, ad esempio l’infarto miocardico e gli eventi cardiovascolari sono occorsi nel 2% dei pazienti.

In conclusione, Ranibizumab è stato studiato in un ampio programma di studi clinici ed è risultato avere una bassa incidenza di gravi eventi avversi oculari e non-oculari, una bassa incidenza di eventi tromboembolici arteriosi e soprattutto nessuna differenza statisticamente significativa negli eventi avversi sistemici tra Ranibizumab e i gruppi di controllo ( MARINA, ANCHOR, PIER e SAILOR ).

La sicurezza e la tollerabilità del farmaco Ranibizumab sono monitorate in modo continuo e costante tramite il monitoraggio AIFA a livello italiano e lo sviluppo di un Risk Management Plan ( piano di gestione del rischio ) richiesto a livello europeo da EMA.

Sono stati pubblicati nel Bollettino di Farmacovigilanza dell’AIFA numero 18, le segnalazione di eventi avversi di Ranibizumab dall’inizio della commercializzazione di Ranibizumab.
Sono state riportate 8 segnalazioni di reazioni avverse da Ranibizumab, di cui 6 riguardanti eventi di tipo sistemico e 2 oculari.
Gli eventi sistemici, di cui nessuno di tipo fatale, sono i seguenti: ictus ischemico ( 3 casi ), infarto miocardico ( 1 caso ), infarto intestinale ( 1 caso ) e crisi ipertensiva ( 1 caso ).
Nei tre casi di ictus, uno dei quali preceduto da un episodio ipertensivo, i pazienti hanno manifestato l’evento da 1 a 3 mesi dopo l’inizio del trattamento con Ranibizumab. Due pazienti avevano una storia di ictus pregresso.
Nel caso dell’infarto intestinale, l’evento derivato da trombosi arteriosa mesenterica è comparso alla terza somministrazione del farmaco, invece l’infarto miocardico si è verificato in un uomo di 77 anni dopo 6 mesi di terapia con Ranibizumab.
Nel database dell’OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità ) su 1085 report pervenuti per Ranibizumab, 123 riguardano incidenti cerebrovascolari. ( Xagena_2014 )

Pece A, QIJPH - 2014, Volume 3, Number 1

Xagena_Medicina_2014