Linee guida AIOM 2018 - Disordini tromboembolici e cancro: Epidemiologia


Esistono solide evidenze che supportano la correlazione tra cancro e trombosi.
Gli studi autoptici hanno documentato una incidenza anche maggiore, rispetto agli studi ante mortem, di trombosi venosa profonda ( TVP ) e di embolia polmonare ( EP ), nei pazienti oncologici rispetto ai pazienti non-oncologici.
Anche il rischio di recidiva della trombosi è più elevato nei pazienti con cancro rispetto ai pazienti senza tumore.
Inoltre, nella popolazione generale, i pazienti con una trombosi idiopatica presentano un aumentato rischio di sviluppare una neoplasia fino a 1 anno dopo l’evento tromboembolico.

Nella popolazione generale l’incidenza annuale di un evento tromboembolico è di circa 117 casi ogni 100.000 abitanti. La presenza di una neoplasia aumenta di circa quattro volte tale rischio, mentre nei pazienti che ricevono la chemioterapia il rischio è aumentato di circa sette volte.

Le complicanze tromboemboliche influenzano significativamente la morbilità e la mortalità della malattia neoplastica. Le alterazioni dei test di laboratorio dell’emostasi sono presenti in circa il 90% dei pazienti, mentre l’1-15% di loro sviluppa un quadro clinico manifesto, che può variare dalla trombosi venosa profonda, che è tipicamente associata ai tumori solidi, alla sindrome da coagulazione intravascolare disseminata, più frequente nelle leucemie acute e nelle neoplasie solide in fase avanzata.
Il rischio trombotico è ulteriormente aumentato dagli interventi chirurgici, dalla somministrazione della chemioterapia e dell’ormonoterapia, e dalla presenza di cateteri venosi centrali.

I primi dati clinici relativi all’incidenza del tromboembolismo venoso ( TEV ) derivano da studi effettuati su pazienti affette da carcinoma mammario.
Negli studi NSABP-14 e NSABP-20, che hanno valutato donne affette da tumore alla mammella con recettori estrogenici positivi e linfonodi negativi, l’incidenza a 5 anni nelle pazienti che assumevano placebo, Tamoxifene o Tamoxifene e chemioterapia era pari allo 0.2, 0.9 e 4.3% rispettivamente.
Nelle donne con linfonodi positivi sottoposti a chemioterapia l’incidenza varia dall’1 al 10%; l’incidenza è risultata maggiore nelle donne in post-menopausa.

Indipendentemente dalla neoplasia di base, la maggioranza delle pazienti sviluppa un tromboembolismo venoso nel periodo del trattamento.
I pazienti con neoplasia del tratto gastrointestinale, del polmone, o affetti da gliomi maligni hanno un’elevata incidenza ( 10-30% ) di sviluppare tromboembolismo venoso, così come i pazienti con neoplasie onco-ematologiche: il 10% dei pazienti con linfoma di Hodgkin o linfoma non-Hodgkin sviluppano un tromboembolismo venoso.

Un rischio particolarmente elevato è stato riportato nei pazienti trattati con polichemioterapia in combinazione alla terapia antiangiogenica.
La Talidomide in combinazione con steroidi ad alto dosaggio e alla chemioterapia con antracicline incrementa il rischio di sviluppare un tromboembolismo venoso nei pazienti con mieloma multiplo ( 28% ) e nei pazienti affetti da carcinoma renale ( 43% ).
Il Bortezomib in combinazione alla Talidomide o alla Lenalidomide sembrerebbe essere invece protettivo sullo sviluppo di tromboembolismo.

Dati hanno evidenziato un rischio elevato di sviluppare trombosi venose e arteriose nei pazienti con adenocarcinoma del colon-retto e nel carcinoma del polmone non-a-piccole cellule in fase avanzata, trattati con chemioterapia in combinazione a Bevacizumab, un anticorpo monoclonale anti-VEGF ( fattore di crescita dell'endotelio vascolare ), con spiccata attività antiangiogenica. ( Xagena_2018 )

Fonte: Lineeguida AIOM, 2018

Xagena_Medicina_2018