Ernie discali molli cervicali: linee di comportamento diagnostiche e terapeutiche

A cura di L. Mastronardi, Div. di Neurochirurgia, Osp. Pertini, Roma

L'ernia cervicale molle costituisce un reperto frequente tra i 30 ed i 50 anni. Analogamente alle ernie lombari, seppur in proporzione diversa, il trattamento può esser conservativo o chirurgico, in relazione soprattutto al quadro clinico.
In circa il 40% dei casi vi è una regressione della sintomatologia entro due mesi con il solo trattamento conservativo (collare di Schanz, riposo, terapia anti-infiammatoria) e nel 40-60% dei casi entro due mesi dalla diagnosi si osserva un riassorbimento dell'ernia. Pertanto, vi è indicazione al trattamento chirurgico in tempi brevi nei casi in cui l'ernia discale provochi dolore con deficit neurologici congrui con il livello. Nei casi in cui il dolore costituisca l'unico disturbo, è preferibile attendere almeno due mesi: se dopo tale periodo il dolore è migliorato, si può soprassedere all'intervento, mentre se la sintomatologia dolorosa è invariata o peggiorata è opportuno il trattamento chirurgico.
Diagnosi.
L'esame preliminare è costituito dalle radiografie dirette della colonna cervicale in proiezione antero-posteriore, laterale ed obliqua, aggiungendo le prove di flesso-estensione. Fa seguito quindi la RMN ed eventualmente la TC mirata sullo spazio interessato, completata con ricostruzioni multiplanari.
Intervento.
L'approccio chirurgico può esser eseguito:
per via anteriore, indicata nelle ernie discali cervicali mediane e laterali.
per via posteriore, indicata nelle ernie cervicali intraforaminali (per le quali è comunque possibile anche la via anteriore) ed extraforaminali (trattabili soltanto per via posteriore).
In entrambe i casi l'intervento si esegue in anestesia generale e dura al massimo 90 minuti; la mattina successiva il paziente può essere alzato con il collare di Schanz (indicato per 20-30 giorni dopo l'intervento) e dimesso a domicilio.
Per ciò che riguarda i dati tecnici relativi all'inserimento di un tassello di materiale protesico (autologo, eterologo o di sintesi) nell'interspazio trattato, l'andamento della letteratura internazionale e l'esperienza italiana è sostanzialmente divisa a metà tra chi usa e chi non usa un tassello nell'interspazio per ottenere una fusione intervertebrale.
Nel corso degli ultimi 3 anni nella nostra divisione di Neurochirurgia abbiamo iniziato ad utilizzare "gabbie" (protesi) di carbonio contenenti idrossiapatite di corallo, che inseriamo nell'interspazio vertebrale ove è stata rimossa l'ernia, al fine di ottenere una artrodesi intersomatica (fusione). I risultati preliminari ottenuti in oltre 80 casi sono molto incoraggianti, senza complicanze rilevanti.