Interruzione volontaria di gravidanza: aspetti medico-legali


L’interruzione volontaria della gravidanza e la sua procedura sono indicate in una legge secondo cui la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza ( quindi parto e maternità ) possano comportare un pericolo per la sua salute fisica e psichica, in relazione alle condizioni economiche, sociali e/o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni a carico del nascituro, è autorizzata a rivolgersi a una struttura socio-sanitaria o a un medico di sua fiducia.

Al termine del colloquio il medico è tenuto a rilasciare un documento firmato anche dalla donna attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta. Trascorsi sette giorni la donna può presentarsi in una delle strutture autorizzate per l’interruzione della gravidanza.

Il medico, nel documento, deve limitarsi ad attestare lo stato e l’epoca della gravidanza e rendersi garante della veridicità dello stato interessante. Rimane comunque compito del medico stesso aiutare la donna a rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza, quando possibile, specialmente se la decisione è motivata dall’incidenza di cause economiche, sociali, familiari o legate alla salute della gestante.

Nel caso in cui il medico riscontrasse l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, deve rilasciare immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza, con il quale la paziente può presentarsi direttamente presso una struttura abilitata a praticare l’interruzione di gravidanza.

Dopo il novantesimo giorno l’interruzione volontaria di gravidanza può essere praticata:

quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;

quando sono presenti processi patologici relativi anche al feto che comportino grave pericolo per la sopravvivenza della donna.

I processi patologici legittimanti devono essere accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui si deve praticare l’intervento. Nel caso sussista la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione di gravidanza deve essere portata avanti solo e soltanto nel caso vi siano serissimi pericoli per la vita della donna.

Nel caso si tratti di una minorenne, per l’interruzione di gravidanza è richiesto l’assenso di chi ne esercita la tutela. Entro i primi 90 giorni, qualora vi siano seri motivi che sconsiglino la consultazione delle persone che esercitano la tutela, oppure queste una volta interpellate rifiutino l’assenso o esprimano pareri discordanti, bisogna ricorrere al giudice tutelare, a cui il medico deve inviare una relazione correlata dal proprio parere entro sette giorni dalla richiesta.

Dopo aver ascoltato la minore e la sua volontà, il giudice tutelare, tenuto conto di quanto espresso dalla paziente, può decidere se autorizzare l’intervento o meno, con atto non soggetto a reclamo.

Se dovessero esserci condizioni di grave pericolo per la salute della paziente, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la tutela e senza ricorrere al giudice tutelare, il medico, ravvisata l’urgenza dell’intervento, deve certificare l’esistenza delle condizioni che giustifichino l’interruzione, e tale certificazione è sufficiente per ottenere l’intervento d’urgenza.

Dopo i 90 giorni anche per le minori vengono applicate le norme riguardanti le donne adulte.

Nei casi sussista il dubbio clinico circa la capacità di intendere e di volere da parte della gestante, è necessario valutarne l’effettivo grado, in quanto se il consenso non fosse valido si potrebbe configurare l’ipotesi di una interruzione di gravidanza su donna non consenziente, atto punibile secondo la legge.

L’interruzione volontaria di gravidanza costituisce un reato in caso di:

aborto e parto prematuro in conseguenza di lesioni colpose;

aborto attuato senza consenso della donna o conseguente ad azioni dirette a provocare lesioni alla donna;


In caso di nascita di un figlio non voluto, la Cassazione stabilisce che, nel caso di responsabilità del medico per la mancata interruzione di gravidanza, il danno risarcibile è solo quello derivante dalla compromissione della salute fisico-psichica della donna, e non quello più genericamente dipendente da una negativa condizione patrimoniale, quale può rivelarsi il costo della nascita di un figlio indesiderato o del suo allevamento. ( Xagena_2010 )

Gyne2010